giovedì 3 novembre 2011

LE GABBIE DI BOSSI, CONTRO I LAVORATORI DEL SUD.

Per meglio comprendere il significato della polemica degli ultimi giorni derivata dalle dichiarazioni del Carroccio circa la necesità di reintrodurre le cd.”Gabbie Salariali”, di seguito riporto un’intervento di Giuseppe Gagliano del portale Conquistedellavoro.it (Cisl) che partendo dalla storia di questo strumento usato fino alla fine degli anni 60 fa chiaramente comprendere come in questa fase socialmente delicata alcune dichiarazioni e proclami andrebbero vagliati con maggiore cautela.
Inoltre dopo alcune inutili smentite, la proposta di reintroduzione della gabbie salariali ha ottenuto il via libera da parte del Premier, come da sua intervista rilasciata il 09/08 su “Il Mattino”.
Sono graditi interventi da coloro che vogliono commentare la notizia.
“Con il termine di “gabbie salariali” tecnicamente si intende descrivere un sistema di calcolo dei salari per il quale sostanzialmente si arriva a predeterminare e a differenziare i livelli salariali in Italia, su base regionale, rendendoli in pratica, minori al Sud rispetto al Nord in base al costo della vita. Sebbene se ne parli ora come una “riforma”, questo sistema di calcolo è già stato in vigore nel nostro Paese ed è già stato abolito una volta.
Infatti, questo meccanismo è esistito nel secondo dopoguerra ed abolito, in una prima fase, nel 1969 grazie alla battaglia del movimento operaio. Le “tabelle salariali” di cui allora, non sono altro che rigidi differenziali retributivi per macro aree geografiche contemplati dagli accordi interconfederali dei primi decenni del dopoguerra e applicati in Italia fino agli anni Sessanta. In base a questo meccanismo, i livelli salariali, come detto, risultano minori al Sud rispetto al Nord, rispecchiando così il diverso livello del costo della vita.
Base concettuale di quel sistema è l’idea che, nell’Italia di allora, con mercati locali dei beni e dei servizi ancora relativamente poco integrati, il costo della vita fosse più basso al Sud, e che a questo dovesse corrispondere un minore livello salariale nominale.
Parlando della loro strutturazione, le gabbie previste dall’accordo sul conglobamento retributivo del 1954, per riordinare la struttura dei salari, vedono l’Italia divisa in 14 zone. Nel 1961 poi le zone vengono dimezzate e viene prevista una diminuzione dello scarto tra la prima e l’ultima dal 29% al 20%.
Le gabbie vengono definitivamente abolite nel 1969, dopo anni di lotte operaie, durante le quali Cgil, Cisl e Uil avevano lanciato una vertenza nazionale sostenuta da scioperi e manifestazioni: il 21 dicembre 1968 fu l’Intersind (l’associazione padronale che rappresentava le aziende a partecipazione statale come Iri ed Efim) ad accettare l’eliminazione delle gabbie, sia pure in modo graduale entro il 1971, poi tocca a Confindustria accettare il loro superamento. I minimi saranno uguali in tutta Italia a partire dal 1° luglio 1972. A sostegno del superamento, appunto, sono state addotte, da diversi esperti, ragioni economiche come anche di natura costituzionale. Dal primo punto di vista, a far naufragare le gabbie è la stessa idea di contrattazione, nella quale i salari vanno intesi e parametrati in base alle ipotetiche condizioni di costo della vita di un’area, ma dalla quantità e della qualità del lavoro di ogni italiano, cioè dalla sua produttività, indipendentemente dalla sua area di residenza; e che essi dovessero essere definiti dalla libera contrattazione delle parti, e non imposti da norme cogenti.
Una delle principali obiezioni giuridico-economiche alla sostenibilità del sistema delle gabbie risiede, infatti, nell’indicazione che, operando in sostanza per macroaree, la gabbia finisca per dare per assodata una uniformità territoriale che invece non sussiste. Una considerazione in aperto dissenso con il calcolo delle gabbie salariali circoscritto a zone, dove di conseguenza può risultare che in una zona vivere costi per esempio, il 20% in meno che in un’altra. Questo riparametrerebbe i salari con gli stessi scarti percentuali, cosicché per lo stesso lavoro cittadini di una zona potrebbero prendere il 20% in meno di quelli di un’altra zona. Sempre a livello giuridico-economico un altro problema posto è quello degli elementi che compongono il riferimento di calcolo per il livello effettivo del costo della vita sul territorio, perno dell’intero sistema. E’ sufficiente, si chiedono in molti utilizzare il classico paniere dei beni o è necessario ricalibrare il tutto per avere un quadro reale, e quindi veritiero, della situazione dei salari nel paese?
Costituzionalmente la partita sulla conciliabilità delle gabbie salariali al nostro sistema si è giocata sull’interpretazione da dare all’articolo 36 della Costituzione, quello che stabilisce la necessità di una retribuzione “oltre che proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro, in ogni caso sufficiente a consentire un’esistenza libera e dignitosa a lui e alla sua famiglia”.
In relazione a questo, resta da stabilire cosa voglia dire sufficienza della retribuzione e quali parametri usare per determinarla. In questo senso è stato affermato più volte, a livello giuridico, come spetti alle parti sindacali - e quindi alla contrattazione - il compito istituzionale di determinare la retribuzione conforme al precetto costituzionale in rapporto alle regole del mercato, tenendo anche conto delle condizioni locali. Del resto, la giurisprudenza ha riconosciuto ai contratti aziendali, provinciali e regionali natura e dignità di veri e propri contratti collettivi, escludendo qualsiasi criterio di gerarchia tra le fonti collettive ed ammettendo, sempre nel rispetto dell’articolo 36 della Costituzione , la validità di clausole diverse rispetto alla regolamentazione nazionale.
Del resto, il motivo addotto alla prima cancellazione delle gabbie salariali è stato proprio quello di essere sostanzialmente discriminatorie, risultando impossibile stabilire se il lavoro in due località sia proprio identico su l’assunto sostanziale per il quale imporre per un dato tipo di lavoro, attraverso la legge, una medesima retribuzione in tutte le regioni del paese è sbagliato perché ciò che è sostenibile ed adeguato in una zona ricca può non esserlo in una meno fortunata ed il nobile proposito si remunerare allo stesso modo tutti i lavoratori di un certo tipo finisce col determinare disoccupazione nelle zone povere. Morale, è necessario ragionare sul fatto che, anche allo stato attuale delle norme di legge, la regolamentazione di questa materia attraverso una legge dello Stato, saltando il ruolo ineliminabile della contrattazione “rischia” di far cadere il progetto nelle stesse censure di incostituzionalità.” 

Fonte: Conquistedellavoro.it

Nessun commento:

Posta un commento